Per secoli il clavicordo è stato lo strumento privilegiato da organisti e clavicembalisti per il loro studio personale la ricreazione domestica. Le sue qualità espressive praticamente uniche pongono questo meraviglioso strumento tra l’empireo degli strumenti storici da tasto in un arco temporale che le fonti documentano a partire dal quindicesimo secolo fino agli inizi del diciannovesimo. Dopo un periodo di oscuramento, il movimento di riscoperta degli strumenti antichi coinvolge anche il clavicordo che oggi viene prodotto soprattutto sulla base degli esemplari storici conservati. 

Per quanto non adatto alle grandi sale da concerto il clavicordo è uno strumento diffuso soprattutto nel Nord-Europa, mentre in Italia è praticamente sconosciuto probabilmente vittima di un pregiudizio plausibilmente legato alla notevole delicatezza del suono che chiede all’ascoltatore un’attitudine uditiva cui forse non si è più avvezzi. Va comunque precisato che la flebilità del suono si sposa con doti espressivo-dinamiche non comparabili con qualunque altro strumento a tastiera. È estremamente difficoltoso, se non impossibile, stabilire quando, dove e come il clavicordo sia apparso sulla scena. Siamo di fronte al risultato di una complessa stratificazione dovuta alla assimilazione di elementi provenienti da culture diverse grazie a secoli di invasioni, migrazioni e scambi politico-commerciali.

Prestando fede a quanto ci riporta Sebastian Virdung, autore nel 1511 del primo trattato a stampa dedicato agli strumenti musicali, il clavicordo si costituirebbe come l’evoluzione diretta del monocordo, strumento attribuibile a Guido d’Arezzo, il quale lo usava come sussidio per l’esemplificazione della teoria degli intervalli, della scala e della solmisazione.

Attraverso fasi evolutive documentate da fonti iconografiche di varia natura, dall’antico monocordo si giungerà al clavicordo propriamente detto attraverso due linee di sviluppo: l’aumento del numero delle corde a partire dalla corda unica del monocordo di Guido e l’introduzione della tastiera, inizialmente in una forma embrionale e successivamente nella struttura classica.

Fino al 1540 non esistono strumenti superstiti. Sino a questa data siamo costretti a riferirci a fonti iconografiche e trattati contenenti informazioni utili alla descrizione ipotetica delle prime fasi di questo sviluppo. L’esempio forse più interessante di questo tipo di fonti è costituito dalla famosa tarsia presente nello studiolo di Federigo da Montefeltro presso il palazzo ducale di Urbino, opera eseguita da Baccio Pontelli tra il 1479 e il 1482. Fra i diversi strumenti rappresentati con precisi intenti simbolico-filosofici (flauti, una lira da braccio, una viola, un tamburo, un liuto e un organo) figura un bellissimo esemplare di clavicordo. Attraverso l’abile gioco di una prospettiva magistralmente eseguita, sono ben visibili tutti gli elementi meccanici collocati dentro la cassa come la piegatura dei tasti, le corde e le tangenti. Tuttavia è stato da più parti notato come la prospettiva sia stata intenzionalmente distorta al fine di evidenziare questi elementi che evidentemente erano giudicati essenziali per l’artista. Ad uno sguardo attento, infatti, non è difficile notare che i frontalini dei tasti sono tutti della stessa dimensione mentre dovrebbero decrescere in ordine alle leggi della prospettiva man mano che lo sguardo scivola verso il fondo. Ma non solo: questa prospettiva “distorta”, che coinvolge anche altre parti meccaniche, ci ha permesso di ricostruire in modo esatto lo strumento rappresentato verificandone direttamente la correttezza della raffigurazione. La tarsia di Urbino è dunque non solamente una rappresentazione a scopo decorativo, quanto piuttosto un vero e proprio piano costruttivo! La precisione della raffigurazione è tale che è stato possibile addirittura individuare il tipo di accordatura prevista per questo strumento: si tratta della classica intonazione pitagorica caratterizzata per avere tutte le sue quinte e quarte perfette. Si tratta della prima forma di accordatura degli strumenti a tastiera, rimasta i auge per almeno tutto il ‘400. È inoltre difficile non rendersi conto dei continui riferimenti al pensiero pitagorico che pervadono tutto lo studiolo.

I primi strumenti fino a noi pervenuti risalgono al sedicesimo secolo. Si tratta di cinque esemplari che documentano il passaggio a una tipologia organologica più complessa.

Osserviamo un ampliamento notevole della tavola armonica e il conseguente scivolamento della tastiera verso il lato sinistro dello strumento. Non abbiamo più un unico ponticello piuttosto alto, ma diversi ponticelli incollati sulla tavola a diverse distanze e di altezza notevolmente ridotta. E infine, la tastiera si amplia fino a contenere oltre quattro ottave.

Dei cinque strumenti superstiti, solo uno è sicuramente attribuibile. Si tratta di un bellissimo esemplare del celebre costruttore Dominicus Pisaurensis (1543), mentre gli altri quattro sono di difficile attribuzione. Tutti e cinque posseggono comunque caratteristiche organologiche tipicamente italiane.

Possiamo così descrivere un clavicordo tipo della fine del sedicesimo:

1) strumento legato con tre o quattro tangenti per coppia di corde

2) una tastiera con tre ottave più una sesta o anche quattro ottave iniziante per C o F

3) diversi ponticelli

4) corde parallele alla tastiera

5) tastiera sporgente rispetto alla cassa

6) presenza di una cassa esterna a parte usata per proteggere lo strumento

Gli strumenti superstiti riferibili al diciassettesimo secolo sono circa trenta di cui otto firmati e attribuibili con certezza. Di questi, cinque sono di origine tedesca, una svedese, una austriaca e una svizzera.

Anche se l’evoluzione si caratterizza per l’inizio di una differenziazione regionale, la tendenza generale è quella di una progressiva diminuzione delle legature: a partire almeno dalla seconda metà del secolo la legatura più comune è quella costituita di due tangenti per coppia di corde. Questo processo culminerà nel secolo successivo con la diffusione del clavicordo libero anche se diverse fonti iconografiche ne suggerirebbero l’esistenza anche in epoche più antiche.

La struttura esterna del clavicordo seicentesco intanto si va modificando. La tastiera sporgente viene progressivamente abbandonata e quindi inglobata all’interno della cassa, la quale cresce di dimensioni a causa dell’aumento del numero delle corde. Infatti, oltre alla diminuzione dei tasti legati, la tastiera aumenta la propria estensione analogamente a quanto accade per gli altri strumenti. Queste importanti innovazioni organologiche non impediscono tuttavia la costruzione e la diffusione del clavicordo di tipo antico.

Contrariamente a quanto osserviamo per strumenti quali il clavicembalo o l’organo non esistono ancora famiglie storiche di costruttori di clavicordi la cui diffusione è invece affidata all’iniziativa di singoli non necessariamente professionisti. Si tratta spesso di un attività marginale di organari quando non addirittura di organisti e monaci.

Un’altra caratteristica fondamentale del clavicordo seicentesco è il posizionamento in senso obliquo delle corde rispetto alla tastiera. Questa scelta costruttiva si rese necessaria a seguito dei problemi di equilibrio dei tasti le cui leve erano divenute troppo lunghe in ragione dell’aumento del numero delle corde. Posizionando obliquamente le corde si è cercato di recuperare parzialmente questo problema anche se tale scelta causava la tendenza dello strumento a deformarsi torcendosi su se stesso per effetto delle spinte contrastanti dovute alla tensione delle corde.

Possiamo in linea generale dire che il clavicordo nel seicento vede uno sviluppo considerevole del proprio meccanismo in funzione di un notevole ampliamento delle sue qualità timbrico foniche.

Il secolo d’oro del clavicordo è certamente il Settecento. È in questa epoca che assume un ruolo centrale nella vita musicale europea divenendo lo strumento sul quale i giovani nelle scuole di musica, nei conventi e nei monasteri venivano introdotti alla tecnica tastieristica. È anche lo strumento sul quale gli organisti potevano esercitarsi in casa e il cui suono suscitava sentimenti di intimità domestica e familiare nelle case borghesi e nobiliari.

Lo sviluppo organologico è documentabile simultaneamente in molte regioni europee: la tastiera continua ad ampliarsi e continua a diminuire il numero del tasti legati fino alla diffusione massiva del clavicordo libero.

Ma le differenziazioni regionali sono ora un dato di fatto. In paesi come l’Italia, la Francia e l’Inghilterra la presenza del clavicordo viene sorpassata dalla preminenza degli strumenti da penna. I musicisti provenienti da queste regioni si specializzano nello stile compositivo tipico del clavicembalo, della spinetta, del virginale, mentre vengono pubblicati trattati specifici dedicati agli elementi costitutivi di questa tecnica. Anche le grandi famiglie di costruttori dimostrano scarso interesse per questo strumento; la sonorità brillante e voluminosa degli strumenti a corda pizzicata meglio si confaceva con gli stimoli provenienti dalla vita della società di queste nazioni.

Ma in altri paesi come la Spagna, il Portogallo, la Germania e i paesi scandinavi, il clavicordo continuò ad avere un importante ruolo raggiungendo il suo zenit proprio in questo secolo. Divenne infatti lo strumento a tastiera preferito di compositori del calibro di Carl Philipp Emanuel Bach il quale trovò nel clavicordo l’interprete più autentico del suo particolare stile musicale, caratterizzato dalla ricerca espressiva di tensioni emotive, di delicate sensazioni intime e malinconiche.

È questo il periodo in cui il clavicordo riceve un repertorio specifico contemporaneamente al massimo perfezionamento organologico raggiunto dai costruttori provenienti da queste regioni europee.

È dunque in Germania e nei paesi confinanti che il clavicordo raggiunge livelli costruttivi comparabili con i più grandi clavicembali. Fino a questa epoca i costruttori erano personaggi isolati non specializzati come organisti, monaci, insegnanti di musica, ecc. Ora possiamo invece documentare vere e proprie famiglie di costruttori comparabili con le parallele famiglie di cembalari.

Soprattutto nei paesi scandinavi i costruttori perfezionano i loro strumenti facendo tesoro di importanti ricerche scientifiche orientate verso lo studio delle caratteristiche del ponticello e sulla identificazione di formule matematiche per calcolare i vari parametri del cordaggio. Il fatto che in tali paesi il clavicordo continui ad essere lo strumento da studio privilegiato dagli organisti potrebbe essere alla base dello sviluppo del pedalclavicordo (sorta di clavicordo fornito di una pedaliera organistica) anche in riferimento alla tipologia degli organi nordici i quali sono provvisti di più manuali e una pedaliera con registri indipendenti.

In pratica l’organologia di questi strumenti si amplia notevolmente sia per le dimensioni degli esemplari sia per l’applicazione di innovazioni costruttive tendenti ad allargare lo spettro delle sonorità. Il caso più emblematico è dato dal cembalo d’amore. Ideato da Gottfried Silbermann, si trattava di un clavicordo costruito in modo tale che le corde avevano il punto di tangenza posto esattamente a metà della loro lunghezza. La sezione di corda vibrante era così raddoppiata con conseguente aumento della sonorità.

La produzione di clavicordi continua ben oltre la fine del diciottesimo secolo. Di circa settanta strumenti superstiti, il 50% sono di fattura tedesca o comunque centroeuropea, il 40% provengono dalla Svezia e il 10% provengono dalla penisola Iberica. Il 65% della totalità sono stati costruiti durante i primi dieci anni del secolo e il 25% tra il 1811 e il 1820. Dopo il 1820 la produzione inizia a scemare rapidamente fino ad arrestarsi dopo il 1840. E’ iniziata l’epoca del pianoforte.